28/05/09

Quale lavoratore è più precario di uno scrittore emergente? La mostra Working "out" progress, e la prima presentazione del mio libro!

Riporto il comunicato stampa di una mostra dedicata al lavoro precario, nell'ambito della quale verrà presentato anche il libro Io scrivo, testo interessante e avvincente, nonché divertente e - tra l'altro - scritto da me.

Visto che il comunicato è un bel po' lungo ho evidenziato in rosso le parti che mi riguardano, a mo' di mondo fantastico della Storia infinita. Ma siete invitati a leggere anche il resto e, magari, anche a partecipare ^^.

Simone

Soqquadro & Vista
Presentano
Working “out”progress
Mostra collettiva

DURATA: dal 5 al 19 giugno 2009
INAUGURAZIONE: venerdì 5 giugno ore 19.00
ORARI: dal lunedì al venerdì 11.00-13.00 e 16.00-19.30 sabato 16.00-19.30
LUOGO: VISTA Arte e Comunicazione, Via Ostilia 41, Roma (zona Colosseo)
EVENTI: giovedì 18 giugno ore 19.00 presentazione del libro IO SCRIVO di S. M. Navarra
CURATRICE: MARINA ZATTA
INFO: tel. 06.4504846, 06.45449756, cell. 333.7330045, 349.6309004
@mail: soqquadro@interfree.it
www.soqquadro.eu

“Vista” è un centro dedicato all’arte ed alla comunicazione che nasce dall’esperienza di alcuni giornalisti da sempre impegnati nell’organizzazione di eventi d’arte e cultura. Uno spazio espositivo che si rivolge ai giovani talenti esordienti ma accoglie anche esperienze confermate all’ombra della splendida cornice del Colosseo.

In questo luogo Soqquadro espone la collettiva Working “out” progress, un viaggio di riflessione artistica sul tema della crisi nel mondo del lavoro. Vi sono esposte 16 opere che 9 artisti, diversi tra loro per stile, linguaggio e tecniche pittoriche, hanno appositamente realizzato sul tema della crisi.

Come ben sappiamo questo è un periodo di terribile recessione economica. Tutti i giorni i telegiornali ci parlano della crisi che prevedono sarà lunga e dolorosa.
Molti lavoratori sono già stati messi in cassa integrazione o in mobilità ed i contratti in scadenza (Co.Co.Pro., Co.Co.Co., Tempo determinato...) non sono stati rinnovati, spesso senza neanche una spiegazione.

L'esposizione è intitolata Working "OUT" progress proprio per sottolineare, con l'alterazione del famoso modo di dire inglese Work in progress, il momento di drammatica regressione che il mondo del lavoro sta affrontando in questo periodo che si traduce in minori diritti e tutele dei lavoratori oltre che in vere e propri momenti di disagio se non di disperazione sociale.

Cosa accade quando il lavoro anziché progredire regredisce? Quale senso di sfiducia si instaura nelle persone? Quali egoismi scaturiscono da una concezione della socialità che ruota sul mors tua vita mea? Da tutto ciò quali e quanti disordini sociali possono sorgere?

Questi gli interrogativi che si agitano nell’animo dei cittadini a cui gli artisti partecipanti a questa anomala esposizione hanno tentato di dare delle risposte.

Come corollario alla mostra il 18 giugno alle ore 19.00 verrà presentato il libro IO SCRIVO, di Simone Maria Navarra (edizioni Delos Book), il cui sottotitolo è: manuale di sopravvivenza creativa per scrittori esordienti. Il libro è un’esilarante ma utile guida per tutte le persone che vogliono confrontarsi con le proprie capacità narrative e con il mondo dell’editoria. Come lo stesso autore scrive, sono “Consigli per diventare uno scrittore che poi non lo pubblica nessuno” . Soqquadro ha scelto questo testo da presentare all’interno di una mostra sulle difficoltà del mondo del lavoro per aprire uno spaccato di riflessione sulle difficoltà di inserimento lavorativo nell’ambito delle attività creative.


Duccio Andreini, nota alle opere in mostra: CALL CENTER ATESIA: la vicenda del call center Atesia è emblematica per la condizione di lavoro precario ed alienante allo stesso tempo. La solitudine della persone che lavora e che sembra sincronicamente sdoppiarsi, moltiplicarsi, è amplificata negativamente dall’abbandono delle istituzioni storicamente impegnate nella difesa dei diritti. I lavoratori che hanno guidato la lotta per l’assunzione dei precari sono ora sotto processo per aver organizzato uno sciopero non autorizzato… THYSSENKRUPP, L’INCENDIO: si è rotto un equilibrio con la natura, l’incendio brucia l’uomo ed il suo rapporto con essa, il suo modo di produrre. L’essere umano rischia di rimanere solo, con la sua animalità ferita. Bruciano anche i miti, non c’è più lavoro utile se non si ricostruisce presto un nuovo equilibrio globale.

Roberto Baldazzi, nota alle opere in mostra; IL LICENZIAMENTO: l’intimazione del licenziamento prende la forma di un sipario, scuro ed informe, che cala su chi lo subisce creando una distanza incolmabile tra le realtà del prestatore e quelle del datore; realtà, quest’ultima, priva di certezze, che ingoia come un buco nero speranze, prospettive e aspirazioni, proiettando il lavoratore in un futuro indefinito ed incolore. CASSINTEGRATO: Il cinismo delle dinamiche occupazionali stride con il sentimento di sconforto di chi si trova espulso dal mondo del lavoro, così come la rigorosa perfezione delle leggi prospettiche stride con la rudezza delle crete colorate, il cui segno ruvido ed imperfetto contribuisce ad esprimere un sentire drammaticamente esasperato.

Elisabetta Fontana, nota alle opere in mostra: ASSENZA: Il cromatismo grigio esprime un momento interiore di sofferta e prolungata disperazione, in cui ci si trova quando all'improvviso si perde il lavoro e non si vede nessuna speranza nel futuro...ricordo di certe giornate cupe in cui l'ASSENZA di ogni emozione vitale diventa quasi un annientamento fisico: è tutta la fragilità dell'essere umano. ISTANTE: In questo quadro ho voluto dare due interpretazioni: l'ISTANTE della perdita del posto di lavoro e quindi la ferita lancinante, profonda e netta, ma nello stesso tempo l'ISTANTE in cui si vive è inteso come un fiore di luce, una farfalla di leggera libertà perché in un ISTANTE si può ritrovare il lavoro, qui olio e resina utilizzato rendono bene la cristallizzazione dell'ISTANTE perfetto e del messaggio positivo.

Luca Merendi presenta un quadro in cui al centro di un piatto emerge un sostanzioso escremento. Di quest’opera ci spiega così il senso: CO.CO.PROfago: sono l'ultimo degli assunti a tempo indeterminato della mia agenzia, uno degli pochi fortunati...e di merda ne ho mangiata anche troppa...non oso immaginare quanta ne mangeranno i miei colleghi che hanno solo contratti a progetto...

Cristina Messora, nota alle opere in mostra: IMPERMANENZA: poche linee che si intersecano su di una elisse sospesa, con elementi che salgono e scendono, fuoriescono da un asse anch’esso fragile. Vibrazioni salgono dal fondo generando una sorta di oscillazione a pendolo. IMPERMANENZA è l’astrazione di un pensiero, sul sentimento di precarietà, di disorientamento e di perdita. CIO’ CHE RESTA: una successione di eventi, di situazioni, di relazioni, che da un nucleo si sollevano per trovare un equilibrio attorno al proprio asse. Piccole virgole bianche scandiscono i tre momenti; un groviglio che si dipana verso l’alto, è ciò che resta di un asse per così dire svuotato. CIO’ CHE RESTA è frutto di una riflessione sul disagio che si avverte nella “perdita”, momento nel quale si tende a dimenticare il proprio valore e il proprio potenziale.

Maurilio Raponi, nota alle opere in mostra: L’ATTESA E LA SPERANZA: L’attesa e la speranza sono figure che hanno a che fare con il futuro e con la vita che ha da venire. Nell’attesa, l’evento è legato ad un avvenimento immediato, nella speranza il futuro appare pieno di promesse. Nell’attesa non c’è durata, non c’è organizzazione del tempo, ma il timore o l’angoscia di mancare l’evento. La speranza guarda più lontano ampliando lo spazio del futuro. Questi aspetti appaiono attuali in questo periodo, dove il crollo di un modello alternativo al capitalismo ha reso il precariato di dimensioni globali. In questo periodo di crisi siamo chiamati più che mai a intraprendere un cammino verso la speranza, verso l’apertura del possibile, andando incontro a “nuovi cieli” e “nuove terre” che rappresentano la nostra realizzazione.

Gianni Riva, nota alle opere in mostra: WAINTING FOR…: le attese, le lunghe attese nelle anticamere per un colloquio finalizzato ad un improbabile lavoro, provvisorio, precario; le lunghe attese nelle stazioni per un treno che porta verso incerte speranze. La condizione giovanile moderna in bilico fra rassegnazione ( l’immagine ) e ottimismo ( i colori ).

Gloria Tranchida, nota alle opere in mostra: NEW ECONOMY ZOMBIE: Il nuovo mercato degli schiavi , collocato nelle eleganti sedi delle “agenzie per il Lavoro“ seleziona e “vende” mano d’opera; i lavori sempre più temporanei e precari trasformano il mercato del lavoro in un nuovo mercato degli schiavi mascherato e giustificato dietro le logiche di “mercato” e “finanza” a profitto delle aziende, a scapito del valore personale e della professionalità. L’immagine assurge da una base costituita da pagine di giornali finanziari e prende la forma del tipico Zombie dell’immaginario collettivo e raffigura il nuovo schiavo del 2000 del mercato del lavoro, simbolo dello sfruttamento della nuova economia e della finanza che uccide e distrugge i valori del lavoro conquistati nel tempo, creando nuovi morti viventi. MORTI BIANCHE CARTA BIANCA: Opera dedicata ai morti sul lavoro, poco da dire, è un’opera da ascoltare, sono passi nel silenzio. Solo carta bianca, carta bianca perché i giornali non ne parlano, carta bianca perché gli imprenditori hanno carta bianca per uccidere, carta bianca per le morti bianche, chiudiamo gli occhi per non vedere cosa si distrugge in nome dell’arricchimento delle imprese, chiudiamo gli occhi e ascoltiamo questo silenzio. Se apriamo gli occhi restano le assenze, impronte nel silenzio.

Ennio Zangheri, nota alle opere in mostra: Frutto di un segno preciso, di tinte intense edulcorate da luci improvvise, frutto di un'idea che si spiega dalla mente alla tela con velocità propria della comunicazione, questa ultima opera di Zangheri sfugge il glamour consueto e scava nella disperazione, nella disillusione, nell'abbandono di chi fatica a vivere il presente e non ha minima visione del futuro. Futuro che spesso non gli è concesso neppure di sognare.

22/05/09

I memi, e il significato fisico della verità.

Immaginate un pugno di neuroni (be', un pugno piccolo) all'interno del vostro cervello: questi formeranno tra loro delle connessioni, un'architettura complessa fatta di centinaia di migliaia - se non milioni - di sottili contatti, le cosiddette spine dendritiche.

Un po' come l'intreccio degli innumerevoli fili colorati che compongono un arazzo, l'insieme di queste connessioni può formare un ricordo, un'idea. Un cosiddetto meme.

Un meme è un po' come un gene, solo che ce lo portiamo nella testa piuttosto che nel DNA. E a differenza dei geni, questi memi si passano da una persona all'altra non per mezzo di divertenti rapporti sessuali, ma tramite più noiosi libri, immagini e parole: la cosiddetta cultura.

Il bello è che, proprio come quelli biologici, anche questi geni mentali si evolvono, si trasformano, si adattano e cambiano col passare del tempo. E la caratteristica più importante dell'informazione - per così dire - neurale, è che a differenza di quella genetica si può trasmettere a tutti e in maniera istantanea.

Se dico a un bambino: non toccare la pentola sul fuoco, che scotta! Lui mi darà ascolto immediatamente (be', forse) evitando di ustionarsi. Non dobbiamo stare lì a scottarci per milioni di anni, sperando prima o poi di nascere con l'innato terrore per i fornelli oppure coi guanti da forno incorporati.

Come la nostra biologia e il nostro aspetto fisico ci rendono vivi e in grado di adattarci all'ambiente naturale, insomma, il pensiero si adatta alla realtà in cui siamo immersi per permetterci di sopravvivere, per aiutarci a portare avanti la nostra specie o - una volta che iniziamo un pochino a cavarcela - anche semplicemente per consentirci di vivere meglio.

A questo punto, si potrebbe tracciare un parallelismo tra la fisica - intesa come le leggi che regolano la materia - e i memi che a queste leggi meglio si adattano. Ci saranno insomma delle idee naturali, che nascono dalla semplice interazione tra il pensiero e il mondo che lo circonda: quando fa freddo è meglio coprirsi. Sott'acqua non si può respirare e il classico albero che cade da solo nella foresta può combinare comunque un bel guaio, specie se te lo ritrovi in mezzo alla strada mentre guidi e nessuno ti aveva avvisato.

Ma le analogie tra memi e geni non finiscono qui:

Quando, nel corso della replicazione del DNA, all'interno della cellula avviene qualche incidente, è raro che i risultati finali siano positivi. E cosa succede quando si trasmettono informazioni non vere? Nel processo di replicazione delle idee, un'indicazione errata è paragonabile a un errore di duplicazione: chi dice il falso o dà indicazioni imprecise - sia questo per errore o per un tornaconto di qualche tipo - sta danneggiando un meme che, da quel momento in poi, potrebbe non essere più in grado di svolgere la propria funzione.

Se il pensiero è una struttura biologica complessa, insomma, la cattiva trasmissione del sapere è la sua malattia.

Quello che c'è da chiedersi, allora, è se noi esseri umani - come individui e come società - stiamo selezionando le idee più giuste, oppure se scegliamo di volta in volta quelle che più ci avvantaggiano in un dato momento. Sono i memi meno adatti quelli che si perdono, oppure trasmettiamo al nostro prossimo qualcosa che non gli serve, e che può addirittura danneggiarlo?

D'altro canto, la curiosità per il mondo che anima l'uomo, l'attrazione che il pensiero prova verso la conoscenza e la sensazione che ci sia una differenza importante tra quello che chiamiamo giusto e quello che invece troviamo sbagliato, sembrerebbero spingere la cultura e la società verso idee - per così dire - migliori e più adatte alla nostra sopravvivenza.

In conclusione: esiste davvero un significato fisico della verità? Conviene che ognuno faccia il comodo proprio, o è possibile ricercare una morale naturalmente valida e universale, sulla quale costruire una società più evoluta?

Io, sinceramente, non sono in grado di rispondere a questa domanda, come credo che non lo sia nessuno.

Ma penso che ci dovremmo riflettere.

Simone

Male che vada, c'è sempre il bianchetto.

Scrivo alla redazione di un'importante casa editrice: salve. Vorrei regalare il mio libro a uno dei vostri autori, potete darmi un recapito o - semplicemente - farglielo avere voi?

In questi casi mi immagino una luce rossa che inizia a lampeggiare nell'ufficio dell'editore, con la gente che scappa da tutte le parti e una voce metallica che urla: allarme maniaco, allarme maniaco! La risposta - solerte e gentile - è una cosa del tipo: no, ma se vai a una presentazione magari può darsi che lo incontri (se non sei così stupido da non esserci arrivato da solo, aggiungo io).

In effetti non c'ero arrivato, ma rimedio subito e scopro che qui a Roma ce ne è una proprio domani, alle 20, al centro.

Che fare? Sinceramente, non mi sembra tutta questa gran buona idea presentarmi lì col libro, e fare la figura dello sfigato in mezzo al casino di persone che si accalcano per farsi firmare un autografo (le presentazioni dei libri sono così, no?). Poi alle 8 è presto, il centro di Roma sarà un cubo di auto accatastate e sto anche sotto esami. Però voglio regalarglielo... e allora?

Niente. Arrivano le 8 del giorno fatidico che io sto ancora a studio. Poi alle 9 faccio per tornare a casa, quand'ecco la decisione fulminea: ci vado!

Prendo l'auto, 20 minuti di smadonnamenti nel traffico ed eccomi lì... soltanto che non c'è più nessuno! Ma che volevi? Che quel poveraccio se ne stava lì per due ore di fila? E ok, sì: l'avrei voluto, ma invece no. Fa niente.

A questo punto, tanto vale farsi un giro in libreria. Provo ad affacciarmi, ma una persona all'ingresso mi blocca dicendo che è chiuso. Ma perché è chiuso se dentro vedo della gente? Mi chiedo. E la risposta è alquanto ovvia: eccolo lì, lo scrittore famoso! Chiacchiera con qualcuno, e tra un po' uscirà fuori. E allora, che faccio? Glielo do il libro?

All'improvviso, mi rendo conto che io sono tutto ciò che io stesso non vorrei mai incontrare, se in futuro diventassi davvero uno scrittore famoso. La galleria vuota, il rumore dei passi e io che sbuco fuori dal nulla: ciao, ti sono venuto a cercare per regalarti il mio libro. L'ho scritto pensando a te!

Magnifico.

Inizio a viaggiare con la fantasia: ciao, ti regalo il mio libro. Lui vede la copertina, e si mette a urlare che la pirateria è come uccidere gli scrittori, però peggio perché gli scrittori nemmeno muoiono davvero e restano lì a scrivere, e alla fine ci sono più scrittori che libri venduti ed è per questo che il mondo presto finirà.

Ancora: ciao, questo è il mio libro. L'editore ha scelto la copertina pensando che sì, cioè, vedi, no, insomma... pareva una buona idea ecco. E il tempo si ferma mentre tutti si scambiano sguardi pieni di raggelante imbarazzo. Poi lui prende e fa una capriola in avanti, ma non centra il materasso e si sbriciola tute le ossa sul marmo della galleria (ha pure un'età, a questo punto).

Insomma, diciamo la verità: non c'ho le palle di darglielo, il libro.

Strano come il rischio di fare una figuraccia con una persona mi inibisca più che stare qui a raccontarlo ai miei - a voler credere al contatore - ben 75 lettori. E sono anche sicuro che è simpatico, e non sarebbe nemmeno troppo terrorizzato di incontrarmi. E poi ha fatto un casino di gavetta anche lui, no? Andava in televisione alle 10 e mezza di sera, poverino: sai che sonno il giorno dopo?

Io sto ancora lì che faccio training autogeno per decidermi a fregarmene e farmi avanti, quando lo scrittore famoso monta su un taxi e se ne va. M'immagino un'ultima scena in stile Roma città aperta, con io che corro per strada in un affanno disperato, ma forse non è il caso di farla tanto melodrammatica: ho esitato troppo, e me la sono giocata male. Ma alla prossima presentazione giuro che glielo do, non farò ancora una volta la figura dello sfigato!

Ma sì, ci torno e lo faccio: vado su Internet a vedere, e la prossima presentazione a cui potrei partecipare è... a Milano?!

Ho capito: il libro purtroppo l'ho anche già autografato, per cui mi toccherà riciclarlo con qualcun altro che si chiama Giorgio (sperando che non mi chieda cosa volessi dire con una dedica del genere).

Male che vada, c'è sempre il bianchetto.

Simone

NOTA: grazie a Cyberluke per l'immagine, troppo più meglio di quelle che faccio io!

20/05/09

In mezzo al mare.

Lo scorso anno è stato un anno importante: ho iniziato Medicina, ho pubblicato il mio primo libro, e ho capito forse un pochino di alcune cose che andrebbero capite bene, che dopo tutto è meglio di niente.

Era un anno speciale anche per il numero, uno di quelli che si ricordano. Ma passata la soglia di Nostro Signore, mi sento un po' sperduto.

Ho troppi più anni di quanti riuscivo a immaginare quando ero ragazzino, e mi chiedevo: chissà dove sarò nel 2000? Ormai ho un'età in cui ci si aspetta che sei quello che sei, e non dovrebbe più esserci un cambiamento, una svolta, una maturazione. A 34 anni qualcuno ha già tirato i remi in barca, chiudendo baracca e burattini.

Ma io sento che adesso comincia qualcosa. Una vita diversa. Guardandomi intorno non trovo più la riva da dove sono partito, e l'arrivo - se mai ne esiste uno - è ancora troppo lontano perché lo possa vedere.

Sono in mezzo al mare, il viaggio vero comincia adesso.

E speriamo che tenga il bel tempo.

Simone

19/05/09

Intervista a Radio 3 Network

Credo che il titolo non abbia bisogno di particolari chiarimenti, per cui vado subito ai dettagli:

Mercoledì 20 Maggio, su Radio 3 Network, nel corso della trasmissione Stramattino tenuta da Mirco Roppolo, andrà in onda una mia breve intervista.

Se siete interessati il programma inizia alle 8 e 30, dura un'ora e io dovrei esserci nella seconda metà... anche se potreste anche ascoltarvelo tutto, visto l'elevato livello degli interventi! ^^

Un ringraziamento va ovviamente a Mirco che mi ha intervistato, e altri due vanno anche anche a Claudia Giammaria di Radio 3 Network e Roberto Russo della Graphe Edizioni.

Radio 3 Network è un'emittente della Toscana, ma se volete potete ascoltarla anche atraverso internet... semplicemente cliccando qui.

Simone

18/05/09

10 motivi per togliere l'amicizia su Facebook a qualcuno.

10) È un rompiscatole che sta collegato tutto il giorno, e quando entrate un minuto per aggiornare lo stato vuole chattare e vi fa perdere mezz'ora.

9) Continua a invitarvi a scopri il nome di chi ti visita, pensa che guerra tra bande sia una cosa figa o ancora vi manda il link alla pagina del vampiro che vi morde e che vi fa girare le palle.

8) Dopo sei mesi che ce l'avete in lista vi chiedete, finalmente: ma chi cacchio è questo?!

7) Vi domanda pubblicamente cose del tipo: ma lo sanno i tuoi che sei gay? Davvero ti sei trombato la sorella della tua ragazza? O ancora: ma l'hai detto a lui che sei incinta?

6) Continua a consigliarvi le amicizie di persone sgradite tipo ex compagni di classe che avete sempre odiato, gente con cui avete fatto a pugni o il suo amico vigile urbano che vi ha tolto la patente.

5) Vi manda catene psicotiche del genere: persone come queste non dovrebbero vivere! E l'oggetto del messaggio siete voi.

4) Vi ricordate - finalmente - chi cacchio era quello!

3) Nel profilo ha messo la foto segnaletica che gli hanno fatto in galera.

2) Vi manda i baci, i regali, i cuori, gli abbracci e altre pietose boiate sdolcinate... ed è un altro maschio.

1) Vi rendete conto - con stupore - che è stato lui a togliere l'amicizia a voi!

A questo punto, l'unica cosa da fare è togliergli l'amicizia a vostra volta (si scriverà davvero così?) per rappresaglia.

E poi basterà dire che voi gliel'avete tolta per primi.

Simone

13/05/09

Stasera piove.

Saranno le 10 e mezza di un lunedì sera.

Fuori fa un tempo da schifo. Non ho sentito nessuno, in giro non c'è niente di organizzato e tra l'altro domani devo anche alzarmi presto. Questa sera, insomma, si resta a casa.

Prendo una birra dal frigo. Poi mi butto sul divano a guardare la replica di qualche programma che dovrebbe far ridere, ma che in genere mi dà solo sui nervi. Tanto non è che ci sia altro da vedere, di scrivere non mi va e bisogna solo far passare un paio d'ore prima di andare a dormire.

Me ne sto con le gambe stese e la testa su un cuscino, e per un attimo mi pare quasi di osservarmi da lontano e di vedermi per come sono in realtà. Tante volte credo di essere ancora un ragazzino, e invece questa volta mi sembro più grande. Ho passato i trent'anni da un bel po', ormai. E sono un uomo adulto già da un bel pezzo.

Osservo la mia casa. Non è molto grande, ma all'improvviso mi manca qualcosa: di colpo, ho la sensazione di trovarmi in una stanza vuota. Che poi la stanza era vuota anche prima, solo che adesso ci faccio più caso.

La verità è che non mi è mai piaciuto molto stare solo. Di sicuro non la sera, e non per lungo tempo. La compagnia, quando non ce l'ho, mi manca sempre. Ma per la prima volta credo da quando sono nato avverto una mancanza più profonda. Penso ai miei genitori. A mio fratello e a mio nipote. Mi chiedo come sarebbe la stessa stanza con una donna che guarda la televisione accanto a me, e un bambino piccolo che mi dorme in braccio.

M'immagino la famiglia che avrei potuto avere, ma che non ho mai cercato. La famiglia che un giorno - forse - avrò davvero, ma che adesso già mi manca.

Finisco la birra. Poi mi affaccio alla finestra e fumo una sigaretta, guardando la notte.

Stasera piove. E single è solo una bella parola, per definire un uomo solo.

Simone