16/09/08

Il grande scrittore famoso, che poi si toglie la vita.

Scrivere un romanzo è come frugare nel fango sperando di trovarci qualcosa.

Noi scrittori siamo come un branco di disperati impegnati in una corsa all'oro, tutti in ginocchio lungo il fiume col nostro setaccio in mano e nel cuore la speranza di un futuro migliore.

La verità è che tolta la merda, tolti gli addetti ai lavori, tolto chi lo fa tanto per sbarcare il lunario con un lavoro piuttosto che con un altro, tolti insomma tutti quei libri costruiti per vendere e che forse hanno successo e forse no, nessuno scrittore vero è migliore o peggiore di nessun altro.

A parità di noioso, faticoso e snervante lavoro di scrittura (il tempo passato a setacciare il fiume o a scavare nel fango, insomma) ognuno ha le sue storie e ognuno ha i suoi libri. Ci sarà sempre quello più bravo e quello meno bravo, come ci sarà sempre il libro bello e il libro brutto, ma questo non dipende da noi.

Io sono io e gli altri sono gli altri, chiunque essi siano. Fatto sta che, se i miei libri non piacciono a nessuno, mentre il romanzo di qualcun altro vende così tanto da farlo diventare ricco e famoso (se mai questo fosse realmente possibile per uno scrittore italiano) la differenza dipende da qualcosa che, probabilmente, non era del tutto sotto il nostro controllo.

Si può piacere perché il pubblico cerca una certa cosa. Si può piacere perché la nostra estrazione sociale ci rende più interessanti di altri. Si può piacere per semplice e spudorato bucio di culo che ci ha spinto a scrivere una cosa che acchiappa i lettori per lo stomaco e non li molla più dalla prima all'ultima pagina, anche se nemmeno noi sappiamo dire come e perché lo abbiamo fatto. Abbiamo pescato il diamante o beccato la pepita d'oro, mentre gli sfigati tutt'intorno a noi non hanno ancora trovato nulla. Ancora una volta, questa cosa non è del tutto sotto il nostro controllo, non c'è niente da fare.

Come scrittore, questa realtà mi pare evidente come la luce del giorno. E secondo me appare evidente anche a tanti altri autori, siano essi di successo oppure no. Scrivi un libro, lo pubblichi (beati tanti altri ^^) magari vendi milioni di copie e magari ti chiamano in tutte le Università per parlare alla gente e spiegare a tutti come hai fatto. Bello. Solo che la sensazione resta sempre quella: io ho frugato in mezzo al fango per 20 anni, e alla fine ho beccato qualcosa oppure non ho beccato niente. Ma il merito, o de-merito che dir si voglia, non è solo e soltanto mio.

Il pensiero che arriva subito dopo, è che fare lo scrittore non sia poi questa gran cosa. Ogni tanto mi sento come se la scrittura mi trascinasse lontano dalla realtà e dal mondo reale, e non mi piace. Non date retta a chi vi dice che è bello perdersi nell'arte e nelle proprie fantasie, perché non è vero. Non è vero nemmeno un po'.

Il resto del mondo costruisce, brevetta, cura, taglia, cuce, cucina... realizza qualcosa di concreto insomma, e noi lì a sfornare libri nella speranza che piacciano alla gente per qualche motivo che nemmeno sappiamo.

Questa rivelazione può arrivarti presto, come è successo a me o a tanti altri. E allora ecco che c'è chi molla tutto per la famiglia, chi cambia mestiere, chi butta i libri alle ortiche, o chi si sforza con tutta l'anima di costruirsi anche qualcos'altro. Un impiego concreto con cui tenersi ancorati al mondo reale. Una scappatoia d'emergenza per non essere solo scrittori, perché scrivere e basta è un modo orrendo di passare la vita.

Ma secondo me questa rivelazione può arrivarti dopo, e magari devastarti. Un giorno sei lo scrittore più famoso del mondo, e il giorno dopo ti senti un idiota che ha bruciato anni interi a ordinare le parole una in fila all'altra, nella speranza che piacessero a chi di dovere.

Parole belle e importanti. Parole che cambieranno il mondo, se ci capiterà la fortuna di pescare la pepita giusta. Ma che alla fine sempre parole restano.

E forse per riempire una vita non sono abbastanza.

Simone

16 commenti:

Anonimo ha detto...

Permettimi il francesismo: ma ti droghi?!? :P

Mi spiace ma non mi trovi per niente d'accordo con quello che hai scritto.
Una vita si riempie con le cose che ti piacciono, non con le cose concrete o con quelle che piacciono agli altri.

Se ti piace scrivere, fallo per tua soddisfazione, non per cercare il consenso di qualcuno. Certo che uno che ti dà la pacca sulla spalla e ti dice "bel libro" fa piacere, ma non è essenziale.

E certo che bisogna fare anche cose concrete per mangiare e avere un tetto sulla testa, ma non è nemmeno con quelle che si riempie una vita.

Ti linko una delle tante traduzioni e citazioni di una storia che ho sentito una decina di anni fa e che io cerco di tenere come cardine, forse l'hai già sentita:

http://dituttounpo-milena.blogspot.com/2007/04/blog-post_20.html

Glauco Silvestri ha detto...

Mmh... non sono molto d'accordo. Se uno ha una passione radicata in sé, buttarla alle ortiche per fare qualcosa di concreto (che però non nasce dalla nostra anima) non ci appagherà quando saremo vecchi.

Mi piace il lavoro che faccio, ma ho cominciato a scrivere quando ancora non andavo a scuola... l'avevo nel sangue e, sinceramente, credo di essere stato un imbecille a seguire coloro che mi hanno suggerito un studio di tipo tecnico piuttosto che il seguire la mia vera passione.

Trovo più soddisfazione a scrivere un ebook e a pubblicarlo gratuitamente piuttosto che a vedere finito e venduto un prodotto a cui ho lavorato per 10 ore al giorno!
Se dovessi fare solo il mio "mestiere"... al momento di andare in pensione mi chiederei: Cosa ho fatto nella mia vita? E la risposta sarebbe: per 35 anni (o più) lavorativi, mi sono svegliato, sono andato a lavorare, ho lavorato, sono tornato a casa e mi sono addormentato davanti alla tele... per 35 anni della mia vita!
Considerando poi che i prodotti a cui ho lavorato, per quanto utili, sarebbero ormai tutti obsoleti e in una discarica... dimenticati da tutti!

Credo che si debba seguire le proprie passioni. La mia è scrivere.

Se poi uno scrive più per "curiosità" che per passione, tanto da chiedersi perché sta continuando a scrivere (visto che non ottiene il successo sperato), allora è un'altra questione. In quel caso non c'è passione... e quindi può smettere senza troppi problemi.

Unknown ha detto...

Io in parte capisco come ci si sente. Mi sono spesso sentita dire da gente che faceva medicina o ingegneria che ero pazza a mollare giurisprudenza per passare a un indirizzo letterario e buttare due anni della mia vita nel cesso per inseguire una passione. Mi sono sentita dire con disprezzo che almeno un medico salva le vite e un ingegnere costruisce case (o navi, o computer, o fabbriche o che ne so) mentre una che scrive cosa fa? Che scrivere in fondo non è poi così utile per la società, e forse è anche vero. Ma se nessuno coltiva il superfluo allora non resta nulla che ci renda poi così umani da poter dire di esserlo.

E poi ho sempre sentito di saper fare solo questo, che non sarei stata in grado di fare altro, non con soddisfazione almeno. Poi in realtà non ho ancora pubblicato o concluso nulla di concreto, ma ho tempo credo.

Da un certo punto di vista è vero, non c'è molta differenza fra uno scrittore emergente e uno affermato, se sono veri scrittori. E' vero, è una questione anche di fortuna. Però secondo me vale anche la pena di rischiare di non combinare nulla e poi finire per combinare qualcosa che cambia il mondo. Io non sono d'accordo con chi dice "scrivo per me". Si scrive per comunicare qualcosa a qualcuno in fondo, magari inconsciamente, sennò basterebbe pensarla ed evitare lo sbattimento di mettere su carta qualcosa che difficilmente riusciremmo a rendere abbastanza bene da soddisfarci appieno, no? I libri belli in fondo sono qualcosa di molto importante e socialmente utile secondo me, quindi hanno la stessa dignità di una casa costruita bene, vale la pena di sacrificare qualcosa per scriverne uno, anche se gli altri magari ti deridono. Capace che dopo qualche anno ti leggono, piangono e cambiano idea.

Comunque, tutto ciò è collegato a quello scrittore americano (di cui ammetto di non saper nulla, purtroppo sono un'ignorante)che si è suicidato due giorni fa o sbaglio?

Simone ha detto...

Alex: non sarai daccordo, ma questa è una cosa che ho provato per cui magari abbiamo un carattere diverso, o magari devi solo arrivarci anche tu. Lo scrittore più famoso del mondo era così depresso da tirarsi una fucilata, e le soddisfazioni personali non l'hanno salvato. Poi magari aveva altri problemi, eh! ^^

Glauco: e come ti spieghi tanti artisti che seguono le loro passioni ma poi sono infelici. Non manca qualcosa?

Auro: infatti il post nasce dalla notizia della morte di quell'autore che nemmeno io conosco bene (al punto che ho preferito non citarlo).

Io non ho detto che i libri hanno meno dignità di altre cose, ma che una vita di sola scrittura rischia di lasciarti col vuoto sotto i piedi. Evidentemente, per qualcuno è stato così.

Simone

Angelo Frascella ha detto...

Ciao Simone.

Ci sono persona che sono scrittori di mestiere. Come mi ha detto uno di loro:

"una cosa è scrivere nei momenti liberi, senza obblighi, senza scadenze: altra è essere "obbligati" a farlo; e sapere che
dalla quantità di pagine che scriverai dipende il pagamento delle bollette, delle rate della macchina, dell'assicurazione."

Ma noi questo problema non lo abbiamo :)
Personalmente scrivo per il gusto di farlo.
Rileggere un mio scritto, farlo leggere alle persone a me vicine sono parte di questo gusto.

Probabilmente se riuscissi a pubblicare un libro e lo facessi leggere a tante persona, la mia soddisfazione sarebbe ancora maggiore.

Probabilmente però mi metterebbe di fronte ad altri dubbi problemi ed incertezze.
E di sicuro non sarebbe quella la chiave della mia felicità.

Se sperassi che nel prossimo "successo" raggiunto (siano essi soldi, avanzamenti di carriera, un libro di successso o altro), potessi trovare una felicità che non ho, starei semplicemente preparando la mia sconfitta.
Ed alcune sconfitte sono dure da digerire...

[Auro] io sono ingegnere, ma non costruisco nè case, nè ponti, nè computer... anzi è quasi più concreto ciò che produco nelle mie saltuarie ore di scrittura (un foglio che posso tenere in mano e fare leggere), che ciò che faccio nel mio lavoro quotidiano (che davvero faccio fatica a spiegare a chi è in altri campi :)
Fai un pò te ;)

Unknown ha detto...

A me piace perdermi nelle mie fantasie e nella creatività.
Ciascuno sceglie le droghe più adatte a se, la mia è la scrittura. Forse fa meno male di altre e insegna qualcosa.
Anch'io trovo più soddisfazione nel pubblicare un ebook che non a fare 200 ore del mio lavoro primario.
Nel mondo utopico in cui mi piacerebbe vivere ciascuno dovrebbe svolgere l'attività che più lo appaga.
Visto che non si può, ciascuno fa il possibile per ritagliarsi un po' della vita che vorrebbe.

Che poi anche gli artisti sono infelici, che vuol dire?
Anche loro sono uomini. Hanno amori che vanno a puttane, parenti che si ammalano, disagi finanziari.
Però credo che tra gli uomini siano quelli che si avvicinano di più a una grezza, magari breve, forma di felicità. Quella che deriva dall'atto di "creare".

Poi se vuoi possiamo discutere sul fatto che tutto è soggettivo, ma è un discorso da cui non se ne esce più.

Simone ha detto...

Angelo: credo che più o meno la vediamo allo stesso modo... anche sulla professione di Ingegnere: io stampo fogli con dei numeri sopra che magari nessuno nemmeno legge! ^^

Alex: il tuo ebook può non leggerlo nessuno o può vincere il Nobel, e questo dipende da fattori che non puoi controllare. L'atto del creare resta subordinato al possedere o meno certe capacità o semplicemente all'essere o meno fatto in un certo modo. A "piacere" perché oggi alla gente piace una cosa rispetto a un'altra.

L'arte ha un valore aleatorio, almeno per i propri contemporanei. Nessun artista può sapere davvero, in vita, se quello che ha fatto è valso a qualcosa o se si perderà tra tante cose di poco valore. E forse l'essere umano in un momento della propria vita ha bisogno di cose più concrete, e secondo me è anche questa consapevolezza che rovina la vita a tanta gente.

Simone

Unknown ha detto...

In realtà a me non frega poi tanto se il mio ebook viene letto da 20 persone al posto che da 2000.
La soddisfazione di scriverla è tutta mia: se ne viene qualcosa di buono va bene, altrimenti comunque avrò speso il mio tempo nel fare qualcosa di appagante.
Visto l'epoca in cui viviamo, credo che questo sia già un grande risultato a cui ambire.
Quasi tutti passano l'esistenza a fare cose passive (vedere la TV, ascoltare musica, farsi una lampada) o a fare cose "automatiche" (le solite mansioni in ufficio, le solite 30 flessioni in palestra).
Chi riesce a variare, a esprimersi, fosse anche solo per se stesso, è già uno step oltre.

Se poi invece uno fa tutto questo per ricevere riconoscimenti e non ci riesce, bè, è proprio un approccio diverso da quello che avevo in mente io quanto iniziai a scribacchiare :)

Simone ha detto...

Alex: evidentemente essere contenti solo di scrivere sarebbe l'ideale. E comunque gli scrittori che s'ammazzano, in genere, sono quelli che il successo lo hanno raggiunto.

Simone

Anonimo ha detto...

Scrivo fantascienza come te e lo faccio da 12 anni. Ho provato a scrivere anche altri generi ma sono più portato per le storie fantastiche.

Credo che ciò che hai scritto sia in parte legato alle delusioni cui va incontro uno scrittore di fantascienza in Italia. Per pubblicare bisogna farlo per forza con un editore a pagamento o vincendo il premio Urania.

Alla fine ci si chiede che senso ha scrivere solo per se stessi. Scrivere libri che soltanto in pochi leggeranno perché i grossi editori non pubblicano libri di fantascienza.

Il fatto è però che non si dovrebbe scrivere in realtà per avere successo. Fondamentalmente si tratta di un modo per esprimere una parte di se stessi. La parte creativa intendo. Non ha importanza se non serve agli altri.

C' è gente che scrive e poi si uccide. C'è anche gente che forse non si uccide proprio perché scrive. Io sono una di quelle persone.

Avere passioni è importante per andare avanti. Il successo è qualcosa che in realtà non dovrebbe avere niente a che fare con le ragioni più intime che spingono una persona verso la scrittura.

La felicità è qualcosa che forse in realtà è indipendente dalla scrittura, dagli amori, dal lavoro e da tutto il resto. La felicità è un qualcosa che si coltiva interiormente.

Se uno scrittore si uccide lo fa perché non è riuscito a trovare dentro di sé la serenità. Il suo mestiere non c'entra. La vera ragione deve essere ricercata da qualche altra parte.

keypaxx ha detto...

Sono "saltato". Risalterò dal mio disco volante.
Un salutone.
A presto.
:)

Simone ha detto...

Anonimo: alla fine è la stessa risposta che mi sono dato io. Forse la scrittura non c'entra, o appunto come dicevo la scrittura non basta.

Keypaxx: ciao e ben arrivato... quando mi porti a fare un giro? ^^

Simone

Anonimo ha detto...

Fantasticare è bellissimo, è il fatto di credere che per le vostre fantasticherie vi meritiate lodi e l'approvazione del mondo che è sbagliato secondo me. é da li che viene la frustrazione. Si parla tanto di meritocrazia, ma cos'è il merito? Procacciarsi il cibo è degno di merito? No, è solo una sequenza di atti finalizzati al conseguimento di un obbiettivo. Il fine stesso ha spinto in quella direzione, nient'altro. Un imprenditore che da lavoro a centinaia di persone ha merito? No, se consideri che il guadagno che riceve dal loro lavoro ripaga i suoi sforzi, è per quello che ha rischiato, non per il merito. Un medico che salva una vita ha un merito? forse, ma il fatto stesso che venga riconosciuto e in qualche modo ripagato annulla il merito stesso. Nessuno studierebbe medicina se destinasse a una cariera monastica dedicata alla povertà e alla totale dedizione al prossimo.
Nessuno cambia il mondo, tantomeno gli scrittori. Prima lo si capisce meglio si lavora e meglio si vive. Campare dei propri scritti deve essere una possibilità fantastica, e se rinunciate alle vostre vanità e alle vostre velleità da eroi della nuova generazione secondo me lo capirete.

Simone ha detto...

Emilio: be', non posso darti torto. Ma quando ho detto di voler cambiare il mondo? Ah, giusto, è il titolo del blog ^^

Simone

Anonimo ha detto...

Penso che fare lo scrittore sia una bel lavoro.. ma credo anche che non sia una lavoro vero e proprio! Quello che intendo dire è che non puoi vivere solo di scrittura ma che devi necessariamente cercare qualcosa di più concreto.
E' pure vero che nella vita bisogna avere delle passioni e bisogna riempirla di fantasie.. ma nel mondo di oggi non si va avanti con queste cose.. nel mondo di oggi si va avanti meccanicamente!
Buttare via un sogno non è giusto, ma vivere sperando che quel sogno si concretizzi non è salutare! Bisogna rincorrere la passione ma fino ad un certo punto, il punto in cui hai ancora i piedi ben piazzati per terra!
Secondo me non si scrive solo per se stessi ma lo si fa anche per gli altri, l'opinione dei terzi conta molto..almeno, io la penso così!
Quello scrittore famoso sicuramente avrà avuto tanti altri problemi e forse lo scrivere non l'ha "salvato".. chi lo sa.. chi sa cosa aveva in testa per arrivare a tal punto!

luna...

Glauco Silvestri ha detto...

La felicità è una cosa inventata per lo sviluppo dell'economia. Siamo tutti infelici e insoddisfatti, fa parte dell'essere umano. Vogliamo sempre di più, non ci basta quello che abbiamo... per questo siamo sempre infelici. Del resto, se fossimo soddisfatti di ciò che abbiamo e facciamo, allora non ci sarebbe sviluppo della società, evoluzione tecnologica etc etc...

Se all'età della pietra fossimo stati felici, probabilmente, oggi, io e te staremmo scrivendo dei glifi sulle rocce all'interno di una caverna...

E' l'infelicità il motore del nostro sviluppo, il desiderio di migliorare noi stessi e di cercare di realizzare le nostre passioni. E' ovvio che non tutti possono riuscire, ma se nessuno tentasse, alla fine sarebbe una grave perdita per tutti quanti.