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23/03/09

Azmera, Babatunde, Dio, il preservativo e - soprattutto - l'AIDS.

Babatunde vive in un ridente paesino dell'Africa.

È un posto un po' fuori mano, appena circondato dalla Savana e con un ospedale a soli centottanta Km di distanza, una missione di frati da qualche parte difficile da raggiungere e ben tre o quattro pozzi d'acqua a non più di sette o otto Km da casa sua.

In realtà Babatunde ha un gran culo, perché pur vivendo in Africa il suo paese è bene o male un posto accogliente: c'è un massacro solo una o due volte l'anno, gli integralisti religiosi mettono giusto una bomba ogni tanto e l'attuale dittatore è buono e non tortura i suoi nemici troppo a lungo prima di ucciderli.

Fortuna delle fortune, vicino casa di Babatunde ha aperto la sede di una grande ONG famosa e nel suo quartiere sono state avviate una serie di campagne volte a salvare il futuro dell'intero continente africano nel giro di soli sei-sette, al massimo nove secoli.

Quella sera, Babatunde stacca presto da lavoro (fa il consulente immobiliare in un punto della savana particolarmente desolato, e non è che abbia molti clienti) fa un salto a conoscere quelli della ONG e poi torna di corsa a casa con in testa delle idee molto particolari...

«Da adesso in poi dobbiamo trombare solo col preservativo» dice alla moglie «Così poi non ci prendiamo più l'AIDS... e soprattutto non tiri fuori il dodicesimo ragazzino, che già non c'abbiamo i soldi per sfamarne nemmeno uno».

Ma Azmera, come tutte le mogli del mondo, trova subito qualcosa da ridire:
«Il Papa ha detto che non devi usare anticoncezionali, se no vai all'inferno. Insomma da oggi in poi non si tromba più e basta, fine della storia».

«Ma senti, io l'ho capito che Dio è buono e misericordioso... però già c'abbiamo le malattie, il deserto, la guerra, l'inquinamento, il regime, la disoccupazione, la fame, la siccità, la morte, i cellulari che non prendono mai e un satellite con dei canali bruttissimi. Pure Lui, almeno una cosa poteva lasciarcela!»

«No» Azmera è inflessibile. «Se vuoi trombiamo senza preservativo, ma se poi ti prendi l'AIDS sono affari tuoi».

«Ma se nessuno di noi è malato che pericolo c'è? Tu non avrai mica degli amanti, vero?»

La donna si stringe nelle spalle.
«In questo momento solo sette o otto, ma dipende da quanto lavoro ho. E tu?»

«Io ti sono sempre stato fedelissimo! Faccio giusto qualche stupro durante i saccheggi e le guerre civili, ma uso sempre il preservativo anche lì: sono una persona pulita, io!»

«Tra l'altro» aggiunge Azmera. «A sposarci è stato quel tizio che va in giro con la maschera e il gonnellino di paglia, e il prete mi ha detto che non vale: non siamo davvero marito e moglie, per cui alla fine non possiamo trombare mai in nessun caso. Anticoncenzionali o no».

Babatunde sta davvero per uscire dai gangheri.
«Senti: adesso vado in farmacia, prendo il preservativo e lo usiamo lo stesso. Sono solo centottanta km a piedi, che vuoi che ci metta ad andare e tornare?»

«E dove li prendi i soldi? Una scatola costa tipo 12 euro, e te 12 euro li guadagni in sei mesi!»

«Ah no! I preservativi te li regalano: hanno detto che solo adesso ne hanno portati un milione dall'Europa. Qui siamo solo 33 milioni di malati, per cui un preservativo su 33 fa...
L'uomo ci pensa un po', poi si ricorda che non è mai andato a scuola, e non sa fare le divisioni.
«Non me ne frega niente» conclude. «L'importante è che trombo almeno io!»

«Ma che gentili questi europei!» commenta la donna. «Pensa che hanno anche delle medicine che ritardano la malattia: muori dopo 30 anni, e se pensi che qui da noi la vita media è di 20...»

«Ma quali medicine! Lo sai quanto costerebbe curare tutti? Almeno quanto un paio di quegli aerei che ogni tanto vengono giù e distruggono tutto. E poi non vorrai mica che taglino la ricerca per i gas letali e le mine antiuomo solo per curare l'AIDS!»

«Ho capito» sospira Azmera. «Però uno della ONG che ci capiva un po' di più mi ha detto che, se la gente smettesse di aspettare che lo risolva qualcun altro, forse il problema si risolverebbe davvero. Secondo un prete simpatico, poi, sarebbe meglio fare sesso sempre con la stessa persona per tutta la vita. Però il preservativo possiamo comunque usarlo, perché Dio non vuole che muoriamo d'AIDS».

Babatunde ci pensa un po', e poi scuote la testa.
«Non lo so. Comunque per oggi lasciamo stare, che ormai s'è fatto tardi: domani viene il controllo per la 626, e se trovano qualcosa fuori posto ci uccidono tutti...
«Meglio che andiamo a dormire».

Simone

10/10/08

Il Giudizio Universale e i biscotti al cioccolato.

Ora che lo rileggo, quello che segue mi sembra il candidato al post più retorico del 2008 (non esiste un premio del genere, inutile che cerchiate sul google!). Comunque sia, ormai io l'ho scritto e voi ve lo sorbite:

La pubblicità è una di quelle famose, nel senso che ce la spiattellano in continuazione in mezzo ai programmi che stiamo vedendo: il povero Tarzan deve alzarsi per andare a lavoro, ma fuori c'è lo sciopero degli elefanti e di sicuro per strada ci sarà un traffico mostruoso.

Il re della giungla si alza a sedere sul letto. Ha lo sguardo rassegnato e triste del classico impiegato sotto stress che si aspetta una giornata di merda, quando entra in scena la Jane di turno: ma ci sono biscottini al cioccolato che ti piacciono tanto! Annuncia contenta, che tanto la macchina mica la deve prendere lei. Allora Tarzan si rasserena, mangia i biscotti e poi se ne va a lavorare tutto contento e felice.

A prima vista, questa pubblicità sembra la classica boiata senza senso. Eppure la storia del Tarzan stressato che si mangia i biscotti della marca X, nella sua sua assurdità, ci racconta una cosa vera quant'è vero il mondo (o quasi): se abbiamo qualcosa che ci piace con cui far colazione, ci alziamo più volentieri.

Be', non so voi, ma a me questa cosa succede davvero: quando mi capita di comprarmi qualche zozzeria particolarmente invitante da mangiare la mattina presto, l'idea di quattro o cinquemila calorie concentrate in un unico blocchetto di burro e cioccolato che mi aspettano in cucina mi dà quella spintarella in più per buttarmi giù dal letto.

Ma qui ovviamente il discorso non sono i biscotti e non è lo sciopero degli autobus. Il concetto è che, incredibilmente, mi sono reso conto che anche la tanto disprezzata pubblicità può contenere un messaggio, può dipingere un aspetto della vita e può mantenere un valore anche al di fuori del semplice contesto commerciale.

Che poi è la stessa cosa che accade da sempre: i committenti pagano, e gli autori realizzano opere di più o meno valore a seconda della loro bravura. Inutile ritirare fuori il discorso dell'artista che deve vivere di passione e di nient'altro. Mi trovo sempre di più a pensare che quella dello scrittore solitario che ignora la praticità e i problemi del mondo sia più un'idea holliwoodiana, oppure uno stereotipo nato da un modo sbagliato di idealizzare la vita e la gente che ha avuto successo: il mondo è fatto di gruppi di persone che lavorano insieme per ottenere qualcosa, mentre il singolo quasi mai riesce a emergere o a portare a conclusione un progetto concreto.

Perché non dovrebbe essere così anche nell'arte? Qualcuno finanzia, qualcuno compra, e nel mezzo qualcuno realizza quello che deve realizzare. Il più delle volte questo lavoro sarà solo un sistema come un altro per portare a casa la pagnotta (e comunque tanto di cappello a chi ne è capace) ma qualche volta c'è anche chi, nelle proprie creazioni, riesce a mettere quel qualcosa in più in grado di rappresentare un frammento della nostra umanità.

Umanità dipinta con maestria all'interno di un'opera mastodontica come il Giudizio Universale ma che, qualche volta, può sembra affacciarsi anche da un semplice biscotto al cioccolato.

Simone

01/10/08

E finalmente un bel post sulle mignotte!!!!!!

Dopo i miei articoli su fumo, sevizie sugli animali, letteratura di quart'ordine e la tenerezza dei bambini piccoli, un nuovo argomento che di sicuro darà il via a qualche nuova polemica... ma che probabilmente decuplicherà gli accessi al blog, per cui ben venga.

Insomma, sono a Berlino. O meglio lo ero, visto che si tratta di qualche anno fa. Dietro al monolocale in cui abito c'è una specie di negozietto strano, con un grosso cuore luminoso accanto all'insegna e la silouhette illuminata di una donnina alla finestra. Io lo guardo perplesso e penso: uhm, lì dentro dev'esserci qualcosa di collegato a cuori e donnine, ma cosa mai ci sarà?!

Al corso di tedesco chiedo alla mia giovane insegnante, che mi spiega: ci sono le prostitute (razza di coglione, avrà anche pensato). Io domando: ma non è illegale? E lei: certo che no. Davvero non è illegale, insisto io. E lei: no che non lo è, perché dovrebb... ehi, ma dove stai andando così di corsa?

Ok, altro viaggio in Germania, stavolta ad Amburgo. Posto ben noto per la cucina (?) per il clima mite (??) per le attività culturali (???) e ovviamente per le mignotte. Che ci crediate o no io sono lì per studiare il Tedesco, e un professore simpatico mi spiega come si dice puttana (die Schlumpe, per chi avesse bisogno di chiedere indicazioni una volta arrivato in Germania). Io ripeto prontamente la parola a una professoressa (tipo: è vero che 'sta città è piena zeppa di Schlumpe?) e lei si offende: perché le chiami così? Puttana è un insulto, mentre loro lo fanno per lavoro. Sono professioniste, e si chiamano prostitute.

Dubbio amletico: la mia insegnante faceva la zoccola dopo l'orario di lezione (dubito molto, avendola vista) o la cosa aveva un fondamento di verità? Devo verificare e mi reco in fretta nei pressi di un sordido bordello di periferia (e vai che gli accessi salgono!) Qui hanno fatto le cose in grande: il bordello è tutto colorato di verde che si vede da 10 chilometri (anvedi aho - diranno i tedeschi appena uno si avvicina. Anzi: anveden Sie, aho! Un altro italiano che va a mignotte!) e sopra il palazzo c'è un mega cartello gigante con la pubblicità: una specie di gioco di parole sulla tirchieria che non capirò mai (il tedesco è proprio una lingua del cazzo, e mi scusino i miei amici tedeschi quando tutti i miei scritti saranno tradotti nella loro lingua) che incitava gli avventori a frequentare quel bordello così particolarmente a buon mercato.

Prostitute economiche in un quartiere di periferia tedesco, non siete già arrapati anche voi? Spero di no. Comunque mi avvicino per verificare un po' meglio, e accanto alla porta c'è una specie di menu in tedesco di cui capisco solo che - più o meno - più paghi e più trombi, ma sempre a buon mercato come promette la pubblicità.

Il posto ha anche un sito internet. Ovviamente vado a cercare altre informazioni lì sopra (non speravate mica che entrassi e che vi descrivessi tutti più scabrosi dettagli? Non sono mica uno scrittore famoso, io!) Da quello che riesco a evincere, il bordello in questione appartiene a queste professioniste prossime alla pensione, che se lo sono comprate insieme dopo anni di onorata carriera.

La cosa che più di tutte mi colpisce è che qualcuna delle Schlumpe o lavoratrici private che dir si voglia, tra un turno di lavoro e l'altro presta opera di volontariato con i disabili... e di che tipo di volontariato si tratti non c'è bisogno che ve lo spieghi. Certa gente ha dei problemi che non possiamo nemmeno immaginare, e loro cercano di aiutarli nel solo modo che conoscono e - perché no - anche con un po' di affetto.

Torno in Italia, e quello che si vede di notte su certi marciapiedi non devo certo raccontarvelo, visto che è sotto gli occhi di tutti. Mi tornano alla mente le signore attempate di Amburgo: saranno immorali, saranno scandalose, andranno contro tutti quei principi che ci sembrano tanto importanti. Però mi sembrano più pulite, più felici e soprattutto più libere, perché vivono come hanno scelto di vivere in un mondo che vedono a modo loro.

E sempre a modo loro, hanno anche costruito qualcosa.

Simone

25/09/08

Tori, toreri e corride.

Vacanza in Spagna prima dell'inizio dell'universitá e della conseguente fine di ogni mio tempo libero da qui ai prossimi 6 anni (nella migliore delle ipotesi). Sono a Valenza, o Valencia, o Valenzia che ancora non ho capito come si chiama in Italiano 'sto posto... ma ok immagino che si sia comunque capito.

Trovo la plaza de toros, che del resto è dietro al mio albergo. Da anni, ogni volta che vado in Spagna dico che mi piacerebbe vedere una corrida, ma poi per un motivo o per l'altro lascio perdere. Insomma vado a chiedere informazioni e mi dicono che la corrida iniziata da poco è l'ultima del mese, il che significa che non avrò un'altra occasione per vederla. Direi che è la volta buona, allora: mi faccio coraggio e entro.

Per chi non sa come funziona la cosa, una corrida si svolge più o meno così:

L'idea principale è che il toro è un animale stupido e cattivo, nonchè grosso. Molto grosso. Quando il toro entra nell'arena, il torero e i suoi "assistenti" gli si piazzano davanti, e l'animale non trova di meglio da fare che caricarli mandandoli a nascondersi dietro a delle barricate costruite ai bordi di questa specie di stadio.

Questa descrizione, però, non rende l'idea: immaginate un animale di settecento chili (così ho letto) che carica chiunque vede e che prende a cornate i muri cercando di buttarli giú. La sensazione è che se ti prende non ti fa male, ma ti sbriciola letteralmente tutte le costole e poi t'infilza con le corna mentre stai per terra.

Ma ecco che il torero capo inizia a rompere le scatole al toro facendosi caricare ed evitando gli attacchi all'ultimo momento con un mantello colorato di rosso. Il fatto è che i toreri non stanno solo lì a evitare il toro, ma si mettono in ginocchio e si esibiscono in tutta una serie di pose e coreografie che possono risultare nel mancato evitamento dell'animale con conseguente sbriciolamento delle costole di cui sopra.

Passato qualche minuto, le cose per il toro iniziano a mettersi male: da fuori l'arena arrivano dei tizi senza mantello il cui ruolo è quello di trafiggere l'animale dietro la schiena con dei grossi spiedoni appuntiti. Il tutto mentre il torero principale (il matador credo che si chiami, così come credo che ogni personaggio e oggetto abbia il suo nome particolare che sicuramente scriverò sbagliato) continua a farlo sfiancare incitando e successivamente evitando i vari attacchi.

Alla fine il matador prende uno spadone lungo qualcosa come due metri, e dopo una serie di pose alquanto drammatiche conficca la lama di cui sopra nella schiena del malcapitato animale. Sarebbe giá abbastanza violento così, solo che il toro non muore subito ma passano diversi minuti tra muggiti, schizzi di sangue e altre spadate nel caso la prima non fosse stata a sufficienza.

Quando finalmente l'animale cade a terra, uno dei toreri si avvicina e lo finisce con qualche coltellata dietro al collo. La gente esulta, chiama torero torero sventolando fazzoletti bianchi, mentre il toro viene trascinato via da dei cavalli pronto a essere trasformato in meno cruente bisteccone.

Ripetete il tutto per quattro, cinque o sei tori che fanno la stessa brutta fine, ed ecco che la corrida è giunta al termine: i toreri se ne vanno a gruppi di tre, la gente lascia l'arena, e lo spettacolo è finito.

Uscito all'aperto, trovo i toreri che sono rimasti nella plaza de toros in attesa dei loro ammiratori, un po' come fanno gli attori a teatro. Il malvagio torero crudele e assetato di sangue che incitava la folla con le sue pose alla Freddy Mercury (non trovo davvero nient'altro di piú simile) si rivela essere un ragazzetto che non avrá piú di vent'anni. Alto, magro, biondo, bello come il sole (e ci credo che le donne chiamavano torero torero... e non solo quelle) è coperto di sangue e ansima e sprizza gioia da tutti i pori come un qualsiasi diciottenne che ha appena terminato di fare la cosa che più lo appassiona al mondo. I ragazzini lo accerchiano e gli chiedono l'autografo, e lui firma felice e contento.

Adesso, io non so se sia bello e non so se sia giusto. Non so cosa ci guadagnino i toreri a fare quel mestiere visto che c'era quasi più gente tra organizzazione e tutto che spettatori paganti. Non so se porterei mio figlio a una corrida come invece evidentemente fa qualcuno, e non so se tornerei mai a vederne una.

Peró di una cosa sono sicuro: se rinasco, voglio fare il torero!

Simone

16/09/08

Il grande scrittore famoso, che poi si toglie la vita.

Scrivere un romanzo è come frugare nel fango sperando di trovarci qualcosa.

Noi scrittori siamo come un branco di disperati impegnati in una corsa all'oro, tutti in ginocchio lungo il fiume col nostro setaccio in mano e nel cuore la speranza di un futuro migliore.

La verità è che tolta la merda, tolti gli addetti ai lavori, tolto chi lo fa tanto per sbarcare il lunario con un lavoro piuttosto che con un altro, tolti insomma tutti quei libri costruiti per vendere e che forse hanno successo e forse no, nessuno scrittore vero è migliore o peggiore di nessun altro.

A parità di noioso, faticoso e snervante lavoro di scrittura (il tempo passato a setacciare il fiume o a scavare nel fango, insomma) ognuno ha le sue storie e ognuno ha i suoi libri. Ci sarà sempre quello più bravo e quello meno bravo, come ci sarà sempre il libro bello e il libro brutto, ma questo non dipende da noi.

Io sono io e gli altri sono gli altri, chiunque essi siano. Fatto sta che, se i miei libri non piacciono a nessuno, mentre il romanzo di qualcun altro vende così tanto da farlo diventare ricco e famoso (se mai questo fosse realmente possibile per uno scrittore italiano) la differenza dipende da qualcosa che, probabilmente, non era del tutto sotto il nostro controllo.

Si può piacere perché il pubblico cerca una certa cosa. Si può piacere perché la nostra estrazione sociale ci rende più interessanti di altri. Si può piacere per semplice e spudorato bucio di culo che ci ha spinto a scrivere una cosa che acchiappa i lettori per lo stomaco e non li molla più dalla prima all'ultima pagina, anche se nemmeno noi sappiamo dire come e perché lo abbiamo fatto. Abbiamo pescato il diamante o beccato la pepita d'oro, mentre gli sfigati tutt'intorno a noi non hanno ancora trovato nulla. Ancora una volta, questa cosa non è del tutto sotto il nostro controllo, non c'è niente da fare.

Come scrittore, questa realtà mi pare evidente come la luce del giorno. E secondo me appare evidente anche a tanti altri autori, siano essi di successo oppure no. Scrivi un libro, lo pubblichi (beati tanti altri ^^) magari vendi milioni di copie e magari ti chiamano in tutte le Università per parlare alla gente e spiegare a tutti come hai fatto. Bello. Solo che la sensazione resta sempre quella: io ho frugato in mezzo al fango per 20 anni, e alla fine ho beccato qualcosa oppure non ho beccato niente. Ma il merito, o de-merito che dir si voglia, non è solo e soltanto mio.

Il pensiero che arriva subito dopo, è che fare lo scrittore non sia poi questa gran cosa. Ogni tanto mi sento come se la scrittura mi trascinasse lontano dalla realtà e dal mondo reale, e non mi piace. Non date retta a chi vi dice che è bello perdersi nell'arte e nelle proprie fantasie, perché non è vero. Non è vero nemmeno un po'.

Il resto del mondo costruisce, brevetta, cura, taglia, cuce, cucina... realizza qualcosa di concreto insomma, e noi lì a sfornare libri nella speranza che piacciano alla gente per qualche motivo che nemmeno sappiamo.

Questa rivelazione può arrivarti presto, come è successo a me o a tanti altri. E allora ecco che c'è chi molla tutto per la famiglia, chi cambia mestiere, chi butta i libri alle ortiche, o chi si sforza con tutta l'anima di costruirsi anche qualcos'altro. Un impiego concreto con cui tenersi ancorati al mondo reale. Una scappatoia d'emergenza per non essere solo scrittori, perché scrivere e basta è un modo orrendo di passare la vita.

Ma secondo me questa rivelazione può arrivarti dopo, e magari devastarti. Un giorno sei lo scrittore più famoso del mondo, e il giorno dopo ti senti un idiota che ha bruciato anni interi a ordinare le parole una in fila all'altra, nella speranza che piacessero a chi di dovere.

Parole belle e importanti. Parole che cambieranno il mondo, se ci capiterà la fortuna di pescare la pepita giusta. Ma che alla fine sempre parole restano.

E forse per riempire una vita non sono abbastanza.

Simone

13/09/08

Io sono leggenda: la creatività come specchio sociale... o il rincoglionimento definitivo dell'uomo moderno.

Questo articolo non vuole essere (e non sarà) una descrizione precisa e dettagliata di una serie di romanzi e lavori cinematografici. In giro per la rete ci sono già centinaia di recensioni di questa storia e dei suoi adattamenti, e non è mia intenzione andare in giro a cercare nomi e date solo per tirare fuori qualcosa che è stato già fatto.

Queste poche righe vogliono invece essere una riflessione sulla creatività, sulla sua evoluzione nel tempo e su come una cosa che ha un certo significato oggi possa assumere domani un significato completamente diverso (o anche nessun significato affatto, come vedremo).

Io sono leggenda è sia un libro di Richard Matheson (uno dei miei autori preferiti) sia un film degli anni '60 o giù di lì (vi avevo detto che non sarei stato preciso) intitolato l'ultimo uomo sulla Terra, sia un film degli anni '70 intitolato occhi bianchi sul pianeta Terra sia un film degli anni 'l'anno scorso intitolato, guarda caso, io sono leggenda. Se non altro, alla fine almeno il titolo l'hanno imbroccato.

Ma veniamo alla cosa gustosa (sennò che articolo scrivevo?): la storia del libro e dei 3 film è praticamente la stessa, con delle sottili differenze che - secondo me - hanno un significato non indifferente.

Romanzo originale: io sono leggenda. Di Richard Matheson.

Ok, Matheson è un genio, ha scritto un libro che copierò (3 millimetri al giorno) e ha capito tutto di cos'è la fantascienza horror thriller sparamenti e morti ammazzati.

La storia di Matheson la riassumo così: un virus ha ucciso un po' tutti gli esseri umani, sono rimasti soltanto dei vampiri cattivi e intelligenti (praticamente l'intelligenza di alcuni vampiri è pari a quella umana) e il protagonista è il povero Neville: un ultimo tizo sfigato che va in giro la notte ad ammazzare i vampiri e durante il giorno vive barricato in casa.

Risoluzione della storia di Matheson:
i vampiri intelligenti formano una nuova società, catturano l'ultimo uomo sopravvissuto e lo uccidono. Dal punto di vista dei vampiri Neville è un essere unico al mondo che non fa che andare in giro ad ammazzare loro, che sono normali. Neville è il vero essere mostruoso e malvagio che la gente ha il terrore d'incontrare, e da qui nella consapevolezza finale del protagonista nasce il titolo: io sono leggenda.

Ok, primo film: l'ultimo uomo sulla terra. Girato da qualcuno, a Roma!


La storia è uguale al libro. I vampiri sono forse un po' tonti ma bene o male come quelli del romanzo, e il finale è quasi identico anche se Neville muore in una chiesa (speriamo di essermi ricordato bene!) dando al tutto una possibile interpretazione religiosa che in originale non esisteva.

Per il resto, come già detto l'adattamento è molto fedele al testo originale e non c'è molto altro da aggiungerem. Per cui andiamo avanti:

Secondo film: occhi bianchi sul pianeta terra, con Charlton Heston o come si scrive.

La storia è un po' diversa: l'ambientazione è più vasta, passando da una casetta di una città di provincia a una grande metropoli americana, svuotata per l'occasione. I cattivi non sono più vampiri stupidi di una nuova società, ma tizi capelloni incappucciati e tremendamente ridicoli che detestano qualsiasi strumento tecnologico, sempre però desiderosi di fondare una società nuova.

Il riferimento alle discriminazioni razziali e al consumismo è evidente, così come è evidente un maggiore realismo (sebbene i cattivi siano ridicoli) e una cura maggiore dell'ambientazione. Cambia anche il finale, perché Neville è in grado di lasciare un vaccino a dei misteriosi sopravvissuti (ma gli umani non erano tutti morti?) lasciando così aperta una speranza per il futuro dell'umanità.

Il senso della storia originale viene così a perdersi: il protagonista non è più la leggenda cattiva degli zombi vampiro che popolano la terra, e alla fine l'umanità si salverà e i cattivi stupidi scompariranno.

Terzo film: io sono leggenda, con Will Smith.

Ultimo in termini di tempo, il nuovo adattamento del romanzo di Matheson è tutto uno sconvolgimento.

La città è una megametropoli gigante come nel secondo film, e Neville è un figaccione sempre come nel secondo film, e fin qui ci siamo. I vampiri non sono più normalmente intelligenti, mediamente stupidi o pesantemente rimbambiti, ma sono dei cosi fatti al computer che corrono e gridano e non capiscono più un cavolo.

A voler proprio sforzarsi di trovare un significato a questa scelta, la computer grafica senza espressione e senza significato che va in giro a uccidere quello che trova potrebbe rappresentare la paura generalizzata che avvolge la società odierna.

Cambia ancora una volta anche il finale: Nevill Smith trova un vaccino al virus dei vampiri, si sacrifica per salvare l'umanita e infine - colpo di scena - gli umani non erano del tutto spariti ma ci sono ancora dei posti pieni di gente che grazie all'aiuto del nostro eroe protagonista ricostruiranno il mondo del presente.

In tutti gli altri adattamenti, romanzo compreso, agli occhi dei vampiri la modernità rappresentava il male. Qui i vampiri non pensano e non parlano (a parte uno che ogni tanto viene inquadrato per far vedere quant'è cattivo) e non c'è nessun dubbio che il protagonista sia nel giusto.

Come poteva poi Will Smith non tanto non salvare il mondo, ma passare addirittura per stronzo? Ecco allora che il nostro meraviglievole Newille non è più una leggenda al contrario, ma anzi verrà ricordato per sempre dagli esseri umani per il suo sacrificio. Da qui il ritorno al titolo originale (io sono leggenda, se non si fosse capito) con però un significato opposto a quello che inizialmente gli aveva dato l'autore.

Se potessimo tracciare una linea che unisca il valore intellettuale o lo stimolo alla riflessione generato dai vari adattamenti, direi che sarebbe una retta che parte molto in alto ma che finisce inesorabilmente per accostarsi allo zero. Più passa il tempo e più le storie diventano stupide, con le stesse idee tramutate e rigirate solo perché suonino più fighe e accontentino un pubblico che - a leggere certe recensioni su Internet - sembra addirittura indignarsi se quello che sta guardando possiede un livello di lettura più profondo.

Addio ai cattivi pensanti, addio alla rappresentazione del nostro lato oscuro che finisce per prevalere fino a ribaltare anche la morale, e addio all'idea che una storia possa anche farti pensare oltre che metterti paura. L'importante è che il protagonista sia figo, che rimorchi a sufficienza e che sconfigga i suoi nemici a costo della vita. Le nuove idee lasciamole a Matheson e ai suoi amici scrittori sfigati, che tanto quelle che già ci sono possiamo riciclarle all'infinito.

E per concludere, se devo essere sincero, come libro è molto meglio 3 millimetri al giorno. Per cui leggetevi quello ^^.

Simone