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Questa non ha copyrght. Spero. |
Poi l'altro giorno ho beccato uno di quei link di facebook con dentro una raccolta di immagini. Delle foto storiche famose (e drammatiche) raffiguranti dei bambini, prese da una parte in originale e dall'altra come disegni che ne rielaboravano i contenuti in una chiave fantastica, positiva, quasi sognante.
Tra le immagini in questione ce ne era una che ho chiesto all'autore di poter riportare (ma che nel caso troverete facilmente cercandovela da soli) e informandomi un po' sul suo contenuto e significato ho - finalmente ci siamo arrivati - scoperto della vita di questo dottore.
Nato a Varsavia nel 1878, non sto ora qui a copincollarvi tutta la biografia da wikipedia. Mi limito solo a dirvi che - dopo aver studiato medicina ed essere diventato pediatra - Janusz si dedicò alla scrittura di testi di narrativa dal dubbio successo (io per lo meno non conosco nessuno che li abbia letti) e alla costruzione di un modo nuovo di intendere la pedagogia che - al contrario - ha avuto grande diffusione e influenza.
Sua anche una sorta di autobiografia scritta mentre era nel ghetto di Varsavia. Autobiografia che forse avrei fatto meglio a leggere PRIMA della scrittura di questo post... ma vabbe': tanto sarà impossibile da trovare (non avete idea ci che m'è toccato fare per trovare quella di Albert Schweitzer: sono dovuto entrare in una biblioteca!) e magari potrò parlarvene a parte in un'altra occasione.
E insomma: medico di successo, educatore e innovatore di grande influenza. Ma - a parte questo - che ha fatto di speciale 'sto Korczack, che manco c'aveva un blog o l'account su Facebook?
Ha fatto che, colpito dal gran numero di orfani lasciati praticamente a loro stessi nella Varsavia dell'epoca (si parla di una situazione con un 50% di mortalità infantile) fondò un orfanotrofio in cui ospitare ed educare dai 150 ai 200 ragazzini.
Così per un periodo di circa 30 anni, dal 1911 al 1942, il dottor Korczack si occupò di bambini. Scrisse per i bambini, insegnò ai bambini, tenne conferenze, lezioni, programmi radio e quant'altro per i bambini. Ospitò bambini nel proprio orfanotrofio, e si occupò anche di altre strutture analoghe.
Era insomma un po' come la storia dell'Uomo Tigre, se solo Naoto invece di essere un coatto capace solo a fare a botte avesse al contrario studiato medicina.
Fatto sta che Janusz non volle abbandonare i propri ragazzini e il proprio lavoro nemmeno quando arrivarono i rastrellamenti che, dal ghetto di Varsavia, presero tutti gli occupanti dell'orfanotrofio e li portarono a Treblinka. Lui era un personaggio famoso, una personalità, e sarebbe potuto scappare in qualsiasi momento. Però, semplicemente, non lo fece.
Da qualche parte ho letto che Korczack morì nelle camere a gas. Da qualche altra parte invece sta scritto che morì già durante il viaggio. In ogni caso, la sua fine fu quella. Poco prima o poco dopo del resto dei suoi ragazzi.
Una storia che fa riflettere, quella del dottor Korczack. Perché, alla fine, cos'è che l'ha reso - almeno nel mio modo di leggere e interpretare la sua vita - una persona speciale? Un uomo importante, da ammirare e - per quanto possibile - da cui prendere esempio?
Per i suoi libri? Perché ha avuto intuizioni come educatore e come pediatra, apprezzate e riprese dai suoi colleghi? Certamente. Diciamo che il valore aggiunto, ciò che ha lasciato alla società contemporanea, è stato sicuramente quello.
Però a me - e penso che questo valga per molti altri - colpisce di più l'aspetto umano. Il fatto di dedicare la vita a un qualcosa di cui c'era bisogno, e infine un gesto tanto grande (non abbandonare i "suoi" bambini), quanto inutile (morire praticamente subito dopo).
Dopo 30 anni da pediatra, di fronte alla minaccia, alla morte, al "male", si è opposto con un gesto che non ha avuto alcun risultato.
Ecco. È per questo che mi ha colpito, la storia di Janusz Korczak. Perché dentro c'è un po' tutto il significato della medicina, dai tempi prima di Ippocrate fino ai giorni nostri e a quelli che verranno. Non riesco a dirlo in maniera meno smielata e retorica di così, perciò beccatevelo: c'è il pensiero che si oppone alla malattia e alla sofferenza. C'è il fatto di dire che sì, le cose stanno in un certo modo e che forse non ci si può fare niente ma che noi - comunque - non lo vogliamo accettare.
Un gesto spesso inutile, in una battaglia che non puoi vincere. Ma che comunque fai perché sì. Perché non ti sta bene. Perché non vuoi dargliela vinta. E fare il dottore, tante volte, è proprio questo.
Simone
PS
Questo post si riallaccia un po' a quelli sui dottori del passato che scrivevo tempo fa anche su altri blog:
Albert Schweitzer
Frank Netter
Mary Hunt (che credo fosse un'infermiera, ma comunque è uguale).