10/10/08

Il Giudizio Universale e i biscotti al cioccolato.

Ora che lo rileggo, quello che segue mi sembra il candidato al post più retorico del 2008 (non esiste un premio del genere, inutile che cerchiate sul google!). Comunque sia, ormai io l'ho scritto e voi ve lo sorbite:

La pubblicità è una di quelle famose, nel senso che ce la spiattellano in continuazione in mezzo ai programmi che stiamo vedendo: il povero Tarzan deve alzarsi per andare a lavoro, ma fuori c'è lo sciopero degli elefanti e di sicuro per strada ci sarà un traffico mostruoso.

Il re della giungla si alza a sedere sul letto. Ha lo sguardo rassegnato e triste del classico impiegato sotto stress che si aspetta una giornata di merda, quando entra in scena la Jane di turno: ma ci sono biscottini al cioccolato che ti piacciono tanto! Annuncia contenta, che tanto la macchina mica la deve prendere lei. Allora Tarzan si rasserena, mangia i biscotti e poi se ne va a lavorare tutto contento e felice.

A prima vista, questa pubblicità sembra la classica boiata senza senso. Eppure la storia del Tarzan stressato che si mangia i biscotti della marca X, nella sua sua assurdità, ci racconta una cosa vera quant'è vero il mondo (o quasi): se abbiamo qualcosa che ci piace con cui far colazione, ci alziamo più volentieri.

Be', non so voi, ma a me questa cosa succede davvero: quando mi capita di comprarmi qualche zozzeria particolarmente invitante da mangiare la mattina presto, l'idea di quattro o cinquemila calorie concentrate in un unico blocchetto di burro e cioccolato che mi aspettano in cucina mi dà quella spintarella in più per buttarmi giù dal letto.

Ma qui ovviamente il discorso non sono i biscotti e non è lo sciopero degli autobus. Il concetto è che, incredibilmente, mi sono reso conto che anche la tanto disprezzata pubblicità può contenere un messaggio, può dipingere un aspetto della vita e può mantenere un valore anche al di fuori del semplice contesto commerciale.

Che poi è la stessa cosa che accade da sempre: i committenti pagano, e gli autori realizzano opere di più o meno valore a seconda della loro bravura. Inutile ritirare fuori il discorso dell'artista che deve vivere di passione e di nient'altro. Mi trovo sempre di più a pensare che quella dello scrittore solitario che ignora la praticità e i problemi del mondo sia più un'idea holliwoodiana, oppure uno stereotipo nato da un modo sbagliato di idealizzare la vita e la gente che ha avuto successo: il mondo è fatto di gruppi di persone che lavorano insieme per ottenere qualcosa, mentre il singolo quasi mai riesce a emergere o a portare a conclusione un progetto concreto.

Perché non dovrebbe essere così anche nell'arte? Qualcuno finanzia, qualcuno compra, e nel mezzo qualcuno realizza quello che deve realizzare. Il più delle volte questo lavoro sarà solo un sistema come un altro per portare a casa la pagnotta (e comunque tanto di cappello a chi ne è capace) ma qualche volta c'è anche chi, nelle proprie creazioni, riesce a mettere quel qualcosa in più in grado di rappresentare un frammento della nostra umanità.

Umanità dipinta con maestria all'interno di un'opera mastodontica come il Giudizio Universale ma che, qualche volta, può sembra affacciarsi anche da un semplice biscotto al cioccolato.

Simone

4 commenti:

Glauco Silvestri ha detto...

Beh... anche Michelangelo, Da Vinci e tutti gli altri lavoravano su commissione... tutti quanti dobbiamo mangiare e, a proposito di biscotti, mi è venuta voglia... mò vado a chiedere ai colleghi!! ^_^

Unknown ha detto...

Simone, vedo che all'università vendono erba buona! ^_^

A parte questo, io sono sociopatico e solitario, quindi a fare da semplice realizzatore delle idee altrui per un mercato esigente ma "conservatore", proprio non ci riesco.
Faccio fatica stare nei regolamenti dei pochi concorsi a cui partecipo, figuriamoci se riesco a scrivere qualcosa su commissione :)

Unknown ha detto...

Spero ti ritenga soddisfatto di aver rovinato la mia sudata dieta con tutto sto parlare di biscotti!

Comunque sono parzialmente d'accordo. Ok, c'è la parte dell'arte che consiste nel portare a casa la pagnotta (ma mi pare sia più azzeccata la parola artigianato per questo) ma i momenti di vera ispirazione ci sono e secondo me sono quelli che portano all'arte vera e propria. Magari mandi un messaggio ma non sono convinta che la cosa sia sempre e solo una questione di costruire qualcosa volutamente, a volte capita che la gente veda messaggi che l'autore non ha minimamente pensato, almeno consciamente.

Simone ha detto...

Glauco: sì appunto il senso era quello!

Alex: è quello che dico anfh'io, ma secondo me se non ci si "vende" nessuno è disposto a darti una mano. Cioè, se vuoi fare dai solo allora per forza resti da solo. Credo che l'ideale sia riuscire a farci commissionare le cose che ci piace scrivere.

Auro: infatti anche per me il messaggio non è sempre voluto. Ma quello che siamo e che pensiamo si riversa per forza nel nostro lavoro, per cui forse non c'è neanche bisogno di voler lasciare un messaggio ma basta solo essere un minimo "sinceri".

Simone